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WhatsApp in Tribunale: ha valore?

La rilevanza come prova in giudizio dei messaggi scambiati con la famosa applicazione.

Avv. Massimo Pucci


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a) premessa


“Tra moglie e marito...non mettere il dito!” recita un sempreverde adagio: meno che mai il dito andrebbe fatto scorrere sullo schermo di uno smartphone, se si osserva il sempre maggiore impatto che hanno non solo messaggi di posta elettronica ed sms, ma anche i messaggi scambiati con l’applicazione WhatsApp nei procedimenti giudiziari, con una particolare predilezione per quelli che maggiormente coinvolgono i rapporti personali, ovvero, principalmente, separazioni e divorzi.


Tra le tante, una recentissima pronuncia del Tribunale di Velletri (sentenza n. 664 del 23 aprile 2020), ha infatti stabilito l’addebito della separazione ad un coniuge, proprio sulla base degli scambi avvenuti mediante il citato sistema di messaggistica, mediante i quali il Giudice ha avuto modo di accertare la reale causa della disgregazione della coppia, ovvero l’infedeltà coniugale.


Inutili sono risultati i tentativi del coniuge di evidenziare che la crisi in realtà provenisse da un periodo anteriore e che non fosse stata l’infedeltà il fattore scatenante della domanda di separazione.


Quale è, quindi, il valore probatorio dei messaggi e delle chat di WhatsApp all’interno di un procedimento giudiziario?


b) l’evoluzione giurisprudenziale


Come visto, la ormai capillare diffusione di tale sistema di messaggistica ha reso nel tempo sempre maggiore l’ingresso all’interno delle aule e degli atti giudiziari dei messaggi scambiati attraverso tale piattaforma.


Pionieristica, in un certo senso, fu la sentenza del Tar di Latina (n. 670/2013) che riconobbe la liceità dell’annullamento della prova di esame di un candidato trovato in possesso della soluzione della prova stessa sotto forma di messaggio della piattaforma WhatsApp.


Intensa si è rivelata anche la trattazione del tema nel campo della giustizia penale, per ovvi motivi attenta agli scambi comunicativi (sotto qualsiasi forma avvengano) usati da e tra i criminali: in tale ambito le pronunce spaziano principalmente tra due argomentazioni, ovvero 1) la commissione di reati per il tramite del sistema di messaggistica (si veda ad esempio la sentenza della Corte di Cassazione Penale, n. 51654/2018 con cui è stato contestata e accertata la commissione del reato di apologia del terrorismo mediante la diffusione di messaggi WhatsApp e anche la sentenza del Tribunale di Milano, sez. uff. indagini prel., 07/11/2018, n. 2779, con cui si è stabilito che la divulgazione di immagini ritraenti parti intime di ragazze minorenni tramite WhatsApp integri il reato di pornografia minorile);

2) la utilizzabilità e le modalità di apprensione di tale documentazione (sul punto si è stabilito che i dati contenuti nello smartphone non debbano essere considerati alla stregua di corrispondenza - sentenza della Corte di Cassazione Penale, n. 1822/2017 - e che non costituisca intercettazione l'acquisizione di messaggi sms e WhatsApp da un telefono sottoposto a sequestro - sentenza della Corte di Cassazione Penale, n. 29426/2019).


Entrambe le pronunce hanno semplificato l’acquisizione dei messaggi da parte della Polizia Giudiziaria, che può operare mediante sequestro, senza applicare la procedura, più stringente, in materia di corrispondenza.


Ampio risalto viene dato alle conversazioni telematiche anche dalla giurisprudenza giuslavoristica, la quale si divide tra la tutela della libertà individuale e della sfera privata del lavoratore e la semplificazione delle formalità in materia di diritto del lavoro: nel primo senso va la pronuncia del Tribunale di Parma del 7/1/2019 che ha ritenuto ingiustificato il licenziamento comminato al lavoratore reo di aver proposto commenti astiosi nei confronti del datore di lavoro all’interno di una chat con altri dipendenti, considerata dal Giudice alla stregua della corrispondenza privata, chiusa ed inviolabile.


Nel secondo senso, invece, si inserisce la sentenza del 27/6/2017 del Tribunale di Catania, sezione lavoro, che ha dichiarato la legittimità del licenziamento comminato mediante comunicazione di WhatsApp, allorquando dal testo del messaggio si evinca la chiara volontà del mittente di recedere dal rapporto di lavoro ed il messaggio sia riconducibile, con certezza, al datore di lavoro.


c) messaggi WhatsApp e applicazione nel processo civile


Come visto, quindi, il tema della utilizzabilità e della validità probatoria dei messaggi scambiati mediante WhatsApp abbraccia l’intero arco della giustizia, pertanto non resta che osservare il valore riconosciuto dai tribunali civili a tali documenti.


Il Tribunale di Gorizia, nella sentenza n. 301 del 2019 delinea chiaramente e diffusamente lo stato dell’arte.


Con tale pronuncia si osserva che “l'art. 2712 c.c. prevede che le riproduzioni meccaniche, fotografiche, informatiche (CAD) o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime. L'art. 2719 c.c. dispone inoltre che le copie fotografiche di scritture hanno la stessa efficacia delle autentiche, se la loro conformità con l'originale è attestata da pubblico ufficiale competente ovvero non è espressamente disconosciuta. Proprio partendo da tali disposizioni, la Cassazione aveva già riconosciuto pieno valore probatorio per gli sms e per le immagini contenute negli mms, ritenute "elementi di prova" integrabili con altri elementi anche in caso di contestazione (Cass. Civ. 11/5/05 n. 9884), chiarendo peraltro che in caso di disconoscimento della "fedeltà" del documento all'originale, rientrerebbe nei poteri del Giudice accertare la conformità all'originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (Cass. 26/01/2000 n. 866, ex multis)”.


Ne deriva, quindi, che i messaggi WhatsApp costituiscono piena prova nel processo civile e possono essere portati in giudizio sia mediante riproduzioni di immagini (screenshots) che mediante trascrizione dei messaggi, direttamente nell’atto, nei documenti allegati o mediante allegazione di un file informatico contenente le trascrizioni, fermo restando che in caso di contestazione circa la loro autenticità, occorrerà far sottoporre a perizia lo smartphone su cui sono conservati in originale.


d) il disconoscimento del messaggio


Come indicato dalla pronuncia citata, colui il quale si veda rivolgere contro in giudizio dei messaggi WhatsApp ha la facoltà di disconoscere la loro riferibilità alla sua persona.


Tale disconoscimento, però, come ha più volte precisato la giurisprudenza di legittimità, deve essere motivato e circostanziato e non può esaurirsi in una mera contestazione.


e) concludendo


Appare evidente, dalla lettura delle pronunce citate, che la diffusione pressoché totale del sistema di messaggistica WhatsApp abbia spinto il settore giustizia a considerare come necessario fornire adeguata validità probatoria ai messaggi con esso scambiati, purché siano rispettati i canoni già previsti per la produzione in giudizio di documenti informatici, e-mail ed sms.


Sempre più difficile, quindi, si fa la strada per i sostenitori del “è la mia parola contro la sua”, i quali dovranno prestare attenzione a non lasciare tracce digitali e vocali che potranno andare a loro discapito.


Nell’analisi preliminare di una vertenza (attuale e potenziale) viene dato ampio risalto a tutti i documenti che potrebbero costituire prove a vantaggio o a carico della parte assistita ed è un'analisi che non può essere improvvisata: Nettuno Consulting, con i suoi professionisti in campo tecnico e legale, può fornirti consulenza e assistenza a 360° per analizzare la situazione e suggerire le modalità per ottenere la miglior tutela in giudizio.






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