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Mentire nell’autocertificazione Covid non costituisce falso ideologico.

Breve commento ad una recente sentenza del G.i.p. di Milano.

Avv. Massimo Pucci (Nettuno Consulting - #professionisti)



a) premessa


Da un anno a questa parte, purtroppo, abbiamo tutti acquisito dimestichezza sul reperimento e sulla compilazione di modelli di autocertificazione necessari per chi intraprende degli spostamenti consentiti solamente per determinate situazioni (normalmente in caso di esigenze lavorative, mediche o per necessità).


Nella prima fase di gestione della pandemia da Sars Covid-19, circolare senza una motivazione rientrante in quelle indicate provocava la sanzionabilità penale ai sensi dell’art. 650 del codice penale, il quale prevede che “chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall'Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d'ordine pubblico o d'igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a euro 206”.


Per scongiurare tale rischio (come avvenuto successivamente con la sanzione amministrativa da € 400,00 applicata alle medesime situazioni) occorreva portare con sé (e consegnare in caso di controllo da parte delle forze dell’ordine) una autocertificazione con cui si dichiarava la liceità dello spostamento e, conseguentemente, la non punibilità dello stesso.


Ma cosa accade se un soggetto, fermato dalle forze dell’ordine, dichiara il falso nella autocertificazione, onde evitare una sanzione?


Lo spiega una recente sentenza del G.i.p di Milano, chiamato a giudicare sull’ipotesi di reato di falso ideologico ex art. 483 c.p., conclusasi con l’assoluzione dell’imputato perché il fatto non sussiste.


Il fatto riguarda un soggetto fermato nel corso di un controllo di polizia ferroviaria in una stazione milanese, il quale aveva dichiarato nel modulo di essersi trovato a Milano per lavoro e di essere in spostamento verso un comune dell’hinterland, nel quale aveva residenza.


Trascorsi alcuni giorni un agente di polizia, nel corso di un controllo occasionale ed a campione delle autocertificazioni raccolte in quella giornata, aveva effettuato controlli presso il datore di lavoro indicato dal soggetto fermato, ottenendo una dichiarazione secondo cui in quel giorno egli non si fosse recato al lavoro.


Da qui è scattata la imputazione per falso ideologico.


b) il reato di falso ideologico e la autocertificazione


Il reato previsto dall’art. 483 del codice penale prevede che: “Chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni”.


Nella sentenza che si commenta (non è l’unica, si è espresso ugualmente il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Reggio nell’Emilia), al di là delle difese portate dall’imputato (che aveva fornito nel procedimento la presunta prova della sua presenza al lavoro, sconfessando, quindi, gli esiti delle ricerche delle forze dell’ordine), il Tribunale si è spinto oltre alla valutazione dei fatti inerenti il caso concreto, rilevando come non sia configurabile il reato ipotizzato in relazione alla condotta rilevata.


Afferma il Tribunale, infatti, che la norma portata dall’art. 483 c.p. non preveda un generale obbligo di veridicità nelle dichiarazioni che il cittadino renda al pubblico ufficiale, rilevando anche che tale delitto non si consumi nel momento in cui la dichiarazione viene resa dal cittadino, ma in quello della relativa percezione da parte del pubblico ufficiale che la riporta nell’atto pubblico.


Pertanto in tutti i casi similari a quello in commento (in cui la autocertificazione è resa dal cittadino nel corso di un controllo casuale sul rispetto di una norma emergenziale) è assai difficile stabilire quale sia l’atto pubblico in cui essa sia destinata ad essere inserita (circostanza che farebbe ipotizzare la sussistenza del reato).


Diverso è il caso, quindi, delle autodichiarazioni che sono richieste proprio al fine di essere inserite in un atto pubblico (si pensi, ad esempio, alle autocertificazioni dei redditi per usufruire di particolari agevolazioni economiche che prevedano bandi, graduatorie, ecc.): in quei casi non si può non configurare l’ipotesi della commissione del reato in commento, in caso di dichiarazione mendace.


Ulteriormente, il ritenere sussistente un dovere di verità nelle affermazioni contenute nella autocertificazione prevista per le norme lederebbe il diritto di difesa del cittadino, contenuto nell’art. 24 della Costituzione e riassunto dal principio “nemo tenetur se detegere”: il cittadino, infatti, nel caso in questione, si troverebbe dinanzi all’obbligo di dichiarare il vero sapendo che, però, ciò potrebbe portarlo alla condanna ai sensi dell’art. 650 c.p. o al pagamento di una sanzione pecuniaria.


c) concludendo


La sentenza in commento, quindi, segna una netta differenziazione sul trattamento delle dichiarazioni rese dal cittadino nella autodichiarazione: i moduli che non prevedono certificazioni da riversare in atti pubblici (come quelli previsti per la circolazione durante le restrizioni imposte a causa del Covid-19) non impongono, secondo il Tribunale di Milano, al cittadino di dichiarare il vero all’organo accertatore.


Spesso ogni normativa necessita di una attenta analisi per evidenziare gli aspetti meno evidenti ed intuitivi: Nettuno Consulting, con i suoi professionisti in campo tecnico e legale, può fornire consulenza e assistenza a 360° per la corretta interpretazione delle normative.

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